9 febbraio 2012
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20 giugno 2012
Nel 2008, un tizio inglese ha comprato un iPhone nuovo e ci ha trovato dentro tre fotografie già scattate. Tre immagini fatte per testare la fotocamera del telefono e poi dimenticate lì, in memoria.
Mostrano una ragazza sorridente dentro alla fabbrica cinese in cui l’iPhone è stato assemblato. Fanno un certo effetto. Foxconn, l’azienda che ha prodotto quell’iPhone e buona parte degli oggetti tecnologici che teniamo in tasca e usiamo tutti i giorni, l’ha chiamato un “errore”.
Mike Daisey (attore e autore statunitense) nel suo monologo teatrale The Agony and the Ecstasy of Steve Jobs parla per chiunque quando racconta come si immaginava l’assemblaggio nelle fabbriche Apple:
Quello che pensavo è che [gli iPhone] fossero fatti da robot. Avevo un’immagine nella mia testa che, ora realizzo, ho rubato da un documentario sulle fabbriche di automobili giapponesi. Ho semplicemente copiato e incollato. Me la immaginavo così, ma più in piccolo perché sono portatili e cellulari.
E invece no. Dietro a ogni cosa — ogni singola cosa, non solo i prodotti Apple — che acquistiamo c’è un essere umano. Anche se a volte è difficile ricordarselo, anche se a volte le aziende fanno di tutto per farcelo dimenticare.
I designer inglesi di RIG (acronimo per Really Interesting Group) insieme alla giovane azienda artigianale di jeans Hiut Denim hanno creato HistoryTag, uno strumento per sistematizzare e rendere metodico l’errore di Apple.
Un HistoryTag è semplicemente un codice che identifica un prodotto. Se inserito sul sito del progetto, permette di vedere delle fotografie dell’oggetto che si è appena comprato mentre viene creato.
Per ora ci sono praticamente solo jeans: ogni paio di Hiut Denim si porta dietro una mezza dozzina di fotografie che mostrano vari passaggi della produzione. Dal taglio del tessuto ai bottoni, dalle asole alle cuciture. A volte spunta anche una mano o un sorriso di chi li ha fatti.
HistoyTag si muove anche nel futuro: permette di aggiungere fotografie anche quando si ha il prodotto in mano, basta una semplice tag su Flick o Instagram. Così, se mai i jeans — o qualsiasi altro oggetto — dovessero finire a qualcun altro (un figlio, un nipote, un negozio di seconda mano) si porterebbero sempre dietro tutta la loro storia.
David Hieatt, fondatore di Hiut Denim, scrive che ci sono due strade che si incontrano nel progetto HistoryTag. Da una parte il desiderio di fare prodotti di qualità e capaci di resistere nel tempo: «è la cosa migliore che possiamo fare per l’ambiente». Dall’altra c’è l’aspetto geeky, che riconosce l’abilità di internet di raccontare storie e di rendere facile la loro diffusione. Anche quando si parla di semplici oggetti.
Per vedere l’effetto che fa HistoryTag in azione, date un’occhiata alla pagina dei jeans di Ben Terrett, uno dei membri di RIG. Oppure scrivete ai ragazzi e chiedete una HistoryTag per le cose che fate voi.
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