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24 novembre 2011

Com’è la mostra Pixar a Milano. E com’è la Pixar

Ve lo ricordate quando c’erano i dibattiti sull’animazione digitale che avrebbe ucciso le tecniche tradizionali? O quando ci si chiedeva se l’animazione fosse un medium in grado di parlare solo ai bambini?

Poi è arrivata Pixar. John Lasseter, direttore creativo dei Pixar Animation Studios riassume il loro spirito così: «l’arte sfida la tecnologia e la tecnologia ispira l’arte». O, più semplicemente: preoccupati di raccontare bene la tua storia. Un film di animazione è una sorta di contratto tra il regista e il pubblico: il regista e il suo team di animatori e sceneggiatori propongono al pubblico un mondo immaginario che quest’ultimo è chiamato ad interpretare.  Ma cosa serve per fare una storia in grado di coinvolgere, divertire e sospendere l’incredulità degli spettatori?

La risposta è riassunta in tre elementi: Personaggio, Storia e Mondo. Questa divisione è anche il trait d’union della mostra “Pixar. 25 anni di animazione”, dal 23 novembre al 14 febbraio 2012 al PAC di Milano.

Come si racconta un personaggio che non esiste nella realtà? È necessario dargli una psicologia, un carattere che evolva nel corso della vicenda, e costruirlo con elementi di realismo che lo rendano convincente.
Per aiutare gli animatori a ricostruire in maniera credibile nelle tre dimensioni qualcosa che non esiste nella realtà alla Pixar realizzano le maquette, sculture in creta basate su bozzetti e disegni degli artisti. Queste vengono poi rielaborate in blueprint, che permettono di ricomporre digitalmente i personaggi in forme tridimensionali complesse.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il doppiaggio arriva prima dell’animazione, per permettere agli animatori di creare un set di espressioni facciali, movimenti e prossemica del corpo coerente con la voce.

La creazione di un mondo che sia coerente nelle sue parti è fondamentale per il funzionamento del film. E anche qui le tecniche tradizionali intervengono in maniera sostanziale al risultati finale. Buona parte del lavoro alle spalle di una pellicola non verrà mai usato, ma contribuisce a creare un universo coeso e credibile in tutte le sue parti. Esempi di questo lavoro sono presenti nella mostra: illustrazioni in stile Mid-Century Modern realizzate con le tecniche più disparate, dal collage agli acrilici ai pastelli a cera. Oltre a strumenti di lavoro come il Color script. Cosa è uno storyboard lo sappiamo più o meno tutti.

Un color script è uno strumento molto simile, ma serve a raccontare una storia attraverso i cambiamenti nella luce. Traduce visivamente il contenuto emotivo di una storia, rappresentandola in modo semplificato tramite blocchi di colore. E permettere di visualizzare in un solo colpo d’occhio sia la struttura cromatica sia la traiettoria emotiva del film.


L’animazione arriva dopo un lungo lavoro di ricerca sugli elementi del mondo reale presenti nell’universo del film, che aggiunge coesione all’universo narrato e permette inoltre agli animatori di portarsi a casa aneddoti, come quella volta che durante la lavorazione di Toy Story dovettero recarsi da Toys”R”Us e, muniti di carta di credito aziendale, comprare tutti i giocattoli che avessero desiderato.

A fini di ricerca, s’intende. Insomma, che abbiate tre anni o trenta, questa mostra ha qualcosa da raccontare.

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