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10 aprile 2009

The world of spimes

SpimeMi è capitato di scoprire una nuova parola-fenomeno: spime. Il termine è stato coniato da Bruce Sterling (scrittore di fantascienza, conferenziere e collaboratore di Wired) all’interno del suo libro “La forma del futuro”. Spime è l’unione delle parole “space” e “time”, ma prima di entrare nello specifico servono un paio di premesse.

Oggi assistiamo a quattro fenomeni che contribuiscono a definire la nostra come una civiltà tecnologica:

1. La progressiva convergenza dei servizi Oggi possiamo fare molte attività diverse usando un unico strumento (pensate a quante cose possiamo fare usando solamente il nostro cellulare).

2. La miniaturizzazione della tecnologia Sappiamo già che l’avanzamento della tecnologia e la riduzione dei volumi procedono a ritmi impressionanti. Non è quindi difficile immaginare che la presenza tangibile della tecnologia vada scomparendo e lasci spazio a un’intelligenza ambientale dove la tecnologia c’è, ma non si vede.

3. La capillarità dei dispositivi tecnologici Qualche decina di anni fa c’era qualche supercomputer in mano a scienziati e ingegneri, ieri i Personal Computer erano nelle case dei più e oggi siamo in un mondo che conta milioni di dispositivi. Domani forse il concetto di dispositivo specifico non avrà neanche un significato. 

4. La copertura globale di internet Ogni dispositivo moderno dispone delle caratteristiche necessarie per essere connesso alla rete e scambiare informazioni con altri dispositivi.

Questi quattro principi introducono al concetto di Internet of Things e sono i presupposti fondamentali su cui si articola il paradigma spime. Internet of Things è letteralmente l’internet delle cose, una realtà verosimile in cui ogni nostro oggetto è connesso alla rete e può comunicare con noi e con altri oggetti “conversazionali”. Una delle interpretazioni maggiormente condivisa del concetto di spime è quella della società Wide Tag: un’interpretazione open source — una mossa intelligente perché oggi, senza un approccio collaborativo e aperto, la tecnologia non ha speranza di sviluppo.

Ma cos’è uno spime? Come dicevamo è un termine inventato da Bruce Sterling e deriva dalla contrazione di “space” (spazio) e “time” (tempo). Uno spime, secondo i parametri di Wide Tag, è essenzialmente un dispositivo con una serie di caratteristiche molto precise: deve sempre sapere in che luogo e in che momento temporale si trova, deve avere un sensore per registrare informazioni dall’ambiente in cui è immerso e, infine, deve inviare i dati raccolti al mondo attraverso internet.

Semplificando potete immaginarvi uno spime come una scatoletta che, grazie ad un sensore di umidità inserito in un vaso, potrà inviarvi un messaggio quando la vostra piantina resterà senz’acqua. È un caso semplice e su piccola scala utile a comprendere il loro concept.

Gli spime sono un ponte tra la nostra civiltà tecnologica e il mondo fisico, una tecnologia ubiqua con sensori monitor di ogni variazione ambientale. Con l’introduzione degli spime tutti potranno avere accesso agli strumenti necessari per registrare dati dall’ambiente in cui vivono e, ancora più importante, tutti potranno avere accesso ai dati prodotti dagli altri utenti e interpretarli.

Il video che segue dimostra come un sensore spime possa lavorare insieme a Google Earth per monitorare la concentrazione di CO₂ in una parte precisa del mondo (simulata). Lo spime in questione ha un sensore che rileva la CO₂ (appunto) e invia i dati in real time a Google — a questo fine l’interessante esperimento con le candele. Chiunque vorrà potrà controllare la quantità di CO₂ presente nel luogo monitorato e utilizzare i dati come preferisce (scusate se vi ho anticipato il contenuto, ma la documentazione video di WideTag non eccelle in quanto a chiarezza comunicativa).

Un altro interessante scenario proposto da David Orban (“imprenditore e visionario” cofondatore di WideTag) riflette su come, con l’utilizzo degli spime, “non sarà più necessario che gli umani siano occhi e orecchie delle macchine”.  Con quest’affermazione Orban intende che la maggior parte delle informazioni attualmente inserite dall’uomo nei sistemi di social network (pensiamo ai facebook e ai twitter) potranno essere scritti da queste macchine con sensori intelligenti senza l’intervento umano.

Subito si delimita un panorama incerto. Da un lato gli apocalittici della tecnologia e i maniaci della privacy che temono un mondo sotto controllo da macchine con i sensi. Dall’altro gli integrati, fiduciosi e deterministi nel successo dell’evoluzione tecnologica che, nonostante spesso pensino al domani prima dell’oggi, vedono speranzosi gli spime come una strada per la salvaguardia dell’ambiente. Citando Orban: “in un futuro non troppo lontano l’idea stessa che non sapessimo [ndr. non avessimo dispositivi che registrassero e mandassero informazioni su] quando un ponte stava per cedere, oppure come realmente l’ambiente che ci circonda sta reagendo alle pressioni a cui lo sottoponiamo, sembrerà assurda e medievale quanto le pratiche degli alchimisti ci sembrano oggi”.

Ovviamente sono uno di quelli che in internet – e nel fenomeno spime ci credono al cento per cento. Voi?

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Ci sono 1 commenti

  1. [...] seria: chi volesse approfondire l’argomento può leggere il nostro breve articolo introduttivo sugli Spime oppure andare direttamente a questo saggio visionario sul ruolo sociale degli [...]

    pingback dal sito C’è un albero centenario a Bruxelles che ha un blog | Personal Report il 17 settembre 2010 alle 15:17

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