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27 luglio 2012

Quattro chiacchiere con gli Aucan sulla questione del file-sharing

Quando il 19 gennaio scorso Kim Schultz, in arte Kim Dotcom, fondatore e proprietario di Megaupload e Megavideo, è stato arrestato ad Auckland, improvvisamente il discorso sul file-sharing è tornato di moda. Undici anni dopo Napster viviamo in un mondo di consumi culturali ispirato più a quel modello di quanto ci si possa immaginare: scaricare illegalmente è una pratica silenziosamente accettata da molti, verso la quale solo la chiusura di Megaupload ha riportato un po’ di interesse e vivacità.

Qualche settimana fa, alla festa della rivista Vice, ho incontrato gli Aucan, band bresciana di musica elettronica che sta avendo un grande momento, con il disco Black Rainbow Remixes che piace, un tour europeo e l’apertura delle date italiane di Chemical Brothers e Placebo. In effetti con il gruppo avevo una gran voglia di parlare, ma non tanto dei loro successi quanto di un argomento in particolare: lo scorso 20 giugno gli Aucan avevano condiviso sul loro sito un post scritto da David Lowery, ex chitarrista dei Camper Van Beethoven e attualmente impiegato come lecturer nell’Università della Georgia: Lowery rispondeva ad un articolo pubblicato da Emily White, una stagista del programma «All Songs Considered», sul sito di NPR. In questo post Emily sostiene che la musica per lei e per i suoi coetanei non equivale a un oggetto da possedere, semmai a un prodotto etereo da usufruire in mobilità, facilmente e a poco prezzo. Emily, poi, confessa di aver comprato un numero insignificante di CD nella sua vita e di averne masterizzati e scaricati moltissimi, non perché sia cattiva, ma perché nel mondo in cui è cresciuta il valore fisico della musica è più che altro un mito di tradizione orale, un’abitudine ereditata, qualcosa che non le compete.

Alla fine di quel post Emily White dice:

Quello che voglio è un enorme catalogo musicale tipo-Spotify, che sia sincronizzato al mio telefono e ai vari aggeggi per l’home-entertainment. Con questo database universale ciascuno potrebbe avere accesso per poco prezzo a tutto ciò che sia mai stato registrato, e i diritti d’autore sarebbero distribuiti in base al numero di ascolti. Quello che chiedo è la possibilità di ascoltare quello che voglio, quando voglio e come voglio.

Spotify, Deezer, RDIO e Music Unlimited (di Sony) sono servizi che stanno cercando di realizzare il desiderio di Emily White e di molti altri suoi simili: benché non manchino legittimi dubbi sulla capacità dei siti di streaming di assicurare una giusta retribuzione agli artisti, la strada che porterà tutti a spendere di più e meglio per la musica passa certamente da qui.

Non tutti sono d’accordo, com’è ovvio che sia, ma quello che mi stupì nella replica di Lowery, rilanciata dagli Aucan, era la posizione moralista piuttosto disturbante: usando gli esempi di due suoi amici, i cantautori Vic Chesnutt e Mark Linkous, entrambi suicidi, ha sostenuto che l’impoverimento degli artisti, causato dal furto del file-sharing (e fin qui possiamo anche starci) ha portato i sopracitati alla depressione e al suicidio. Mi sono chiesto a lungo cosa potesse condurre un artista a considerare il pubblico, potenzialmente il suo pubblico, alla stregua di un assassino: esasperazione? Lowery sostiene che questa generazione è la prima a prendersela con gli artisti anziché con le grandi corporazioni (alludendo ad Apple e a chiunque costruisca i device che riproducono musica piratata). Io sto cercando di capire perché questa sia la prima generazione di artisti e discografici che non vogliono vendere quello che fa, la musica, ma i dischi, cioè una serie di oggetti (virtuali o reali che siano), e ho approfittato dell’incontro con gli Aucan per capirci qualcosa, chiedendo a Francesco e Jo cosa ne pensassero.

Quale pensate sia il futuro dell’ascolto? È possibile conciliare i vecchi supporti con le nuove tecnologie, senza cadere in un meccanismo nostalgico? La nostalgia non può portare il pubblico a rifugiarsi nei vecchi classici disdegnando le proposte contemporanee?

Francesco: Faccio talmente fatica a capire il presente dell’ascolto, che mi riesce molto difficile immaginarne il futuro.
Jo: I nostri dischi sono in CD, Vinile ed mp3. La scelta a chi compra.

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