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4 giugno 2012

Arte spaziale: immaginarsi lo spazio fin da prima che ci andassimo

Nell’infanzia di ciascuno di noi c’è un libro che in qualche modo ha dato forma al nostro immaginario. Per me è stato “Il grande libro dello spazio”, curato da Giorgio P. Panini. Al suo interno, la cosa che più mi colpiva erano le illustrazioni. Lo spazio, prima ancora che avessi guardato Guerre Stellari, era un luogo variegato, colorato, maestoso, sublime. I pianeti e i satelliti erano rappresentati da pochissime fotografie (quelli in bianco e nero della missione Apollo per la Luna, qualche sfocato scatto dei pianeti esterni dalla missione Voyager), ma nella mia mente lo spazio aveva un colore vivace. Per questo devo ringraziare artisti come David A. Hardy, che proprio quest’anno compie sessant’anni di carriera, lanciando un nuovo sito dedicato alle sue opere.


La vista immaginata Hardy di un pianeta del sistema della stella Tau Ceti

Nato in Inghilterra nel 1936, David A. Hardy è il più anziano artista della prima ondata di Space Art ancora attivo: all’età di quindici anni ha cominciato a dipingere scenari spaziali, realistici o di fantasia. In un’intervista pubblicata due giorni fa da Universe TodayHardy spiega le ragioni di questa scelta.

Sono riuscito a guardare attraverso un telescopio solo a sedici anni. Ti basta vedere le ombre lunghe che si spezzano intorno a un cratere lunare per capire che si tratta di un mondo. Ma avevo anche trovato il libro “La conquista dello spazio” nella mia biblioteca locale, e i dipinti fotorealistici della Luna e dei pianeti realizzati da Chesley Bonestell mi fecero impazzire! Capii che volevo creare dipinti che mostrassero com’è veramente lassù, non solo dei dischi sfocati di luce visti con un telescopio.


Una delle opere più famose di Hardy: “Skiing on Europa

Chesley Bonestell (1888-1986) è unanimemente considerato il padre della Space Art. Anche lui cominciò da un telescopio, con un dipinto di Saturno eseguito nel 1905 dopo aver visto il pianeta dall’osservatorio di San Jose (California). Gli anni della sua giovinezza furono quelli in cui nelle culture occidentali la fiducia nel progresso cominciava a immaginare il futuro: del 1914 sono i disegni della Città futurista di Antonio Sant’Elia, del 1939 la mostra Futurama (a New York) ideata dal designer Norman Bel Geddes, due progetti che non solo avrebbero formato il gusto di molti, soprattutto ragazzini, ma che ebbero in effetti profetici risultati. Nel 1949, con la pubblicazione di “The Conquest of Space”, Bonestell e lo scienziato Willy Ley anticiparono di quasi un decennio la vera e propria corsa spaziale che gli USA e l’Unione Sovietica stavano per cominciare. Ma ancora di più il volume diede impulso all’immaginazione di editori e cineasti che ripresero il filone narrativo dei viaggi spaziali, spesso ispirandosi proprio ai suggestivi panorami spaziali dipinti da Bonestell, il quale non a caso cominciò ben presto a offrire la sua consulenza a Hollywood (Uomini sulla Luna, 1950; Quando i mondi si scontrano, 1951; La guerra dei mondi, 1953).

Negli anni ’50 era quindi nata la Space Art, quel tipo di arte figurativa peculiare della seconda metà del ventesimo secolo, un’arte spesso considerata di serie B per via del medium che la veicolava, il magazine per adolescenti.

Il primo arrivo degli umani su Marte, secondo Chesley Bonestell

Nel 2012 compie sessant’anni anche la serie di pubblicazioni “Man will conquer space soon!”, ospitata dalla rivista Collier’sche proprio quest’anno è tornata alle stampe: gli articoli, curati fra gli altri da Wernher Von Braun, l’ingegnere tedesco che ideò il razzo Saturn delle missioni Apollo, speculavano sulla possibilità di mandare l’uomo in orbita fuori dal nostro pianeta; a illustrare questi articoli con tavole e dipinti fu, fra gli altri, proprio Chesley Bonestell. Ci vollero altri trent’anni perché nel 1981 tutti gli artisti astronomici si riunissero in un’associazione internazionale, la IAAA, che riconobbe a Bonestell il merito di aver fondato la loro disciplina e di averla nobilitata, grazie a una crescente affermazione del tema spaziale nella cultura popolare. Il primo artista in assoluto ad occuparsi di scenari spaziali, va riconosciuto, fu in realtà il francese Lucien Rudaux che, morto nel 1947, non poté assistere alla conquista dello spazio, tantomeno al successo della Space Art.

Eclissi di Sole vista dalla Luna, secondo Lucien Rudaux

Prima dell’invenzione del telescopio, i fenomeni astronomici erano comunque già stati rappresentati dall’arte visiva, benché la conoscenza della fisica del cosmo non potesse garantire la precisione di Bonestell e Hardy. Di indagare queste rappresentazioni artistiche si occupa l’archeoastronomia, una disciplina che ci dice più delle culture antiche che non degli eventi astrali stessi: il passaggio della cometa di Halley nel 1066, ad esempio, può essere calcolato dagli astronomi, anche senza l’ausilio dell’arazzo di Bayeux che la ritrae.

↑ Particolare dell’arazzo di Bayeux: “isti mirant stella” (“questi osservano la stella”)

La Space Art, invece, è una disciplina a stretto contatto con la scienza: spesso gli stessi pittori sono astronomi (professionisti o dilettanti), o lavorano a stretto contatto con grandi esperti (come Hardy con Patrick Moore, o Bonestell con Gerard Kuiper). L’obiettivo di questa simbiosi è ottenere rappresentazioni realistiche (benché pur sempre contaminate dalla fantasia dell’artista), un traguardo che mette la Space Art in diretta concorrenza con la fotografia spaziale. Nell’inervista Hardy tiene a distinguere, quindi, fra Space Art e Sci-fi Art, che rappresenta immagini di totale invenzione.

Credo sia importante che la gente comprenda la differenza fra arte spaziale o astronomica e arte fantascientifica. Questa può ricorrere a molta più immaginazione, ma in genere contiene ben poca scienza – e spesso la interpreta male.

Al limite fra i due generi può essere considerata l’arte che specula sulle future applicazioni dell’ingegneria spaziale. Il Post ha pubblicato qualche giorno fa una serie di illustrazioni commissionate dalla NASA per mostrare l’aspetto possibile della futura colonizzazione dello spazio. Considerando che da diversi anni un numero consistente di esseri umani (a turni) vive sulla Stazione Spaziale Internazionale, la realtà in questo caso si è avvicinata di molto alla fantasia.

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Ci sono 3 commenti

  1. Molto bello. Se ne produce ancora?

    scritto da Gabriele il 4 giugno 2012 alle 10:12

  2. Oggi, magari, si usano di più le tavolette grafiche e photoshop, anziché tempere o acrilici, ma la Space Art esiste ancora. Come ho scritto, Hardy è ancora in attività. E per un prospetto completo degli artisti spaziali, puoi consultare il sito della IAAA.

    scritto da Federico Pucci il 4 giugno 2012 alle 10:24

  3. [...] scritto una cosa su Personal Report: parla di quegli artisti che hanno formato il mio immaginario e che ai tempi [...]

    pingback dal sito Un tubetto di madeleine disidratata « cratete il 4 giugno 2012 alle 10:43

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