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4 aprile 2012

Davide Enia racconta il suo libro: Così in terra

Mi hai nominato alcuni personaggi. I miei preferiti sono Provvidenza e Umbertino. Sono i guardiani della storia, di Davide, il protagonista, sono quelli che ci sono sempre, quando è necessario, e hanno abitato nella mia lettura per contrapposizione l’uno all’altro. Provvidenza è una donna necessaria: quando c’è lei, nel romanzo, sai che non ci sono pericoli imminenti. Umbertino, invece, è un guardiano materiale, attivo, sta sempre dove deve, è quello che aiuta tutti, Davide in primis. Mi parli un po’ di loro due?
Provvidenza era mia nonna, Umbertino mio zio, innanzitutto. (Ride.) Quello che ho raccontato è partito tutto dalla vita vera; Provvidenza mi ha insegnato a leggere e scrivere, il latino, era una bravissima maestra elementare, era una donna ironica, mi raccontava della guerra. Questi sono i caratteri principali anche del personaggio del romanzo. Umbertino è un uomo dallo strapotere fisico enorme, divertente, capace di eccessi fisici e verbali e di una enorme umanità quasi dolcissima che si scontra inevitabilmente con questa sua fisicità. Sono due personaggi che ho costruito, come gli altri d’altronde, a partire da dati concreti, vissuti. Sono personaggi che fanno parte della mia famiglia ma che non si fa fatica a incontrare altrove: volevo raccontare una storia in cui si muovessero corpi veri, in cui parlassero persone che nelle pagine diventano personaggi ma che esistono davvero, ovunque.

È questa la definizione che darei di personaggi universali: personaggi che si possono ritrovare anche a distanza di anni e chilometri con altre fattezze e in un’altra vita. Nella mia, per esempio, che non sono mai stata nemmeno a Palermo.
Era quello che intendevo fare: sono contento di esserci riuscito. Sto avendo buoni riscontri sui personaggi, devo dire: mi si dicono cose su uno o l’altro, io ne sono divertito a volte, ma in generale mi sembra molto interessante ritrovarli nel mondo di chi legge e che ha voglia di riraccontarmeli.

C’è chi ti dice: «Mia nonna Provvidenza era proprio così»?
No, ancora no, ma potrebbe succedere. (Ride.)

Così in terra ha uno stile molto visuale, notavo una vicinanza con la narrazione cinematografica: la vedi come un’opportunità, una strada possibile di evoluzione del romanzo?
Non lo so. Perché no? Se ci dovessero essere le condizioni per farne un film, sarebbe bello, ma io ho scritto un romanzo e basta, non mi pongo il problema, al momento. Se una storia attraversa con facilità più codici, è un ottimo risultato. Ciò a cui si mira quando si scrive una storia, o almeno quello che ho cercato di fare io, è che le parole si liberino del solo i grammaticale e attecchiscano in un lettore, vengano rielaborate da ogni persona in un modo diverso.

Nel libro, il pugilato è espediente narrativo per parlare di altro oltre a essere uno dei motori della trama. Perché il pugilato?
È uno sport bellissimo, soprattutto visto dal vivo, è uno sport che esiste da quando esiste l’uomo. Il pugilato è una delle metafore della vita stessa. Solo chi ha dato e ha ricevuto un pugno conosce le due facce del dolore: c’è quello di chi riceve ma anche quello di chi colpisce. È questo che racconto nel libro, a volte, assieme al pugilato.

Anche questa una scelta di vita vissuta?
Sì, io ho fatto pugilato, ma non è solo questo, davvero: il pugilato è furia che su alcuni atleti diventa danza, è il controllo del corpo, della struttura, sotto un esercizio continuo ed è la caduta dopo cui siamo obbligati a rialzarci e combattere.

Il pugilato nel romanzo sembra una scenografia senza tempo, oltre tutto.

C’è una piccola recensione che ho letto su un blog che si chiama falsoidillio che contiene un concetto molto centrato sul libro: non si capisce chi combatte contro chi, è soprattutto un combattimento a livello mentale quello che viene fuori. Ecco, è verissimo. Per me il tempo nel romanzo non è importante: gli incontri di pugilato non hanno un tempo storico definito perfettamente, non importa se siamo negli anni Sessanta o negli anni Ottanta, perché l’unico tempo di cui mi preme raccontare è il presente, quello che esiste solo nel momento in cui è.

È il presente che governa le relazioni, la trama, un pugno dato e uno ricevuto, un round vinto, una bugia detta, il momento in cui ci si innamora.
Sì, esatto: descrivi alcuni momenti del libro, ed è così. Il pugilato mi serve per raccontare tutto questo.

Il pugilato, infine, c’entra anche con il titolo del libro.
Sì, anche se la prima cosa che avevo in mente con questo titolo era il verso del Padre Nostro. Poi mi piaceva il fatto che ci fosse un avverbio immutabile – così – e una parola – terra – che, invece, è cangiante per definizione, è il posto dove avvengono le rivoluzioni, i combattimenti appunto, la guerra che racconto, gli incontri, la conquista di una ragazza.

Mi hai detto che hai preso l’aereo. Dove sei adesso?
A Torino.
Presentazione in libreria?
Al Circolo dei Lettori. Ma prima, di mattina, devo incontrare dei ragazzi a scuola. Sono emozionato, ma mi piace parlare coi ragazzi.
Ma leggerai? Cosa farai?
Farò una lezione. Parlerò di libri. Uno in particolare. Non indovineresti mai.
Quale?
Prova.

Aveva ragione: non ho indovinato.

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Ci sono 1 commenti

  1. Questo libro e' un capolavoro

    scritto da Fausto il 4 aprile 2012 alle 09:39

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