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8 febbraio 2012

Charley Harper, l’illustratore che pensava piatto

Vagando nell’immenso archivio del solito professor Michael Stoll mi sono imbattuto nelle foto di un vecchio libro di scienze pieno di illustrazioni. S’intitola The Giant Book of Biology, è del 1961 e i disegni sono opera di Charley Harper: sono pochi i bambini americani che negli anni Sessanta non hanno sfogliato un libro illustrato da lui ma, misteriosamente, all’estero è poco conosciuto.

Il primo grande lavoro a cui si dedicò all’inizio della carriera fu un corredo di illustrazioni per un libro di cucina, Betty Crocker’s Dinner for Two Cook Book. Ben presto capì che disegnare casalinghe felici lo frustrava e da lì in avanti si occupò perlopiù di soggetti naturali, meglio se animali, meglio se pennuti. Cominciò anche a sperimentare e ad affinare uno stile personale che lui stesso definì «realismo minimale», e basta googlarlo per farsi un’idea di cosa significhi.

Le leggi della prospettiva e le ombreggiature mi legavano le mani, lo sforzo costante di creare l’illusione delle tre dimensioni mi limitava come artista. [...] La rappresentazione della natura è da sempre dominata dal realismo, io ho scelto di fare in modo diverso perchè penso piatto, spigoloso e semplice. [...] Non conto le piume nelle ali, conto solo le ali.

Nei disegni di Harper la terza dimensione si appiattisce sostituita da sovrapposizioni di colori e ombre, le pellicce e i piumaggi diventano texture e motivi ornamentali geometrici, le forme si specchiano in composizioni simmetriche, i colori si saturano e i tratti si fanno spigolosi o perfettamente sinuosi. Col tempo riuscì a spingere la sua idea all’estremo portando alla ribalta il purissimo segno grafico, preservando sempre la riconoscibilità dei soggetti.

Il nuovo stile comparve per la prima volta sul numero di dicembre del 1948 di Ford Times, la rivista di lifestyle riservata ai clienti della casa automobilistica. Arthur Lougee, l’art director, rimase talmente impressionato che prolungò la collaborazione assegnando ad Harper anche la progettazione di diverse copertine. La collaborazione con Ford Times continuò per altri trent’anni.

Oltre a The Giant Book of Biology, Harper deve la sua fama a The Animal Kingdom, un libro del 1968 destinato ai ragazzini delle medie. Qui in particolare si nota come la semplificazione dei tratti non si traduca mai in un edulcoramento della realtà: gli animali non assumono un aspetto antropomorfo, come invece succedeva in molti altri libri per ragazzi e, come già Audubon più di un secolo prima — ne avevamo parlato qui — ritrae anche la faccia cattiva della natura. Ci sono tarantole che mangiano passerotti e mucche divorate dai piraña.

Quella a The Animal Kingdom fu l’ultima grande commissione che accettò. Fino al 2007, anno della sua morte, lavorò perlopiù a serigrafie in serie limitata.

Se vi interessa approfondire l’argomento le risorse sono infinite. C’è un librone grande come un tavolino da salotto redatto da Todd Oldham che s’intitola Charley Harper: An Illustrated Life, ora disponibile anche in versione mini. Poi c’è la retrospettiva in cinque parti che Codex99 ha dedicato ad Harper in cui si raccontano nel dettaglio tutte le collaborazioni a cui ha lavorato durante gli anni Cinquanta e Sessanta (parte 1, 2, 3, 4, 5).

Un giochino per concludere. L’illustrazione che vedete qui sotto — per vederla più grande cliccatela — s’intitola Mystery of the Missing Migrants: quanti uccelli riuscite a riconoscere? Qui c’è la soluzione.

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