4 luglio 2012
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Compositori e direttori d'orchestra cominciano a preferire i tablet ai classici spartiti
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2 novembre 2010
Dopo anni di delusioni e graduale disinnamoramento ho deciso — più razionalmente che emotivamente — di difendere i Belle and Sebastian e la svolta che hanno preso intorno al 2003. È appena uscito il loro ultimo disco, Write about love, e avverto subito che i disinteressati al gruppo scozzese non troveranno questo post parecchio interessante, ma i Belle and Sebastian sono un caso particolare nella musica indipendente, un gruppo che si è creato intorno una nicchia di fan estremamente fedele e adorante grazie — più che per le qualità musicali — a un’empatia naturale nata attraverso toni e modi, nei suoni, nei testi, nel proprio rapporto con il mondo esterno.
I Belle and Sebastian hanno iniziato nel ’96 con dischi sussurrati, più timidi che intimi, sottofondo ideale per i (frequenti) momenti malinconici di qualsiasi adolescente — e con le ragazze funzionavano da dio. Schivi nei confronti della stampa, a lungo non si è mai nemmeno saputo esattamente che faccia avessero. Copertine dichiaratamente ispirate a quelle degli Smiths, ma più piccole e meno ambiziose. If you’re feeling sinister — “quello rosso” — è stato a lungo il disco preferito di moltissimi, tutti convinti che fosse solo il proprio disco preferito e non quello di migliaia d’altri. Poi, dopo i primi tre/quattro album, il suono delle canzoni ha cominciato a cambiare. I pezzi si sono riempiti di strumenti, hanno pian piano perso il loro aspetto dimesso per diventare brani sicuri di sé, sfacciati, inaspettatamente gioiosi.
Non è stata una svolta commerciale, ma l’effetto sulla maggior parte dei fan è stato più o meno lo stesso. E a peggiorare le cose ci si è messa una popolarità crescente, sfregio classico agli appassionati della prima ora, amanti egoisti rammaricati di condividere il proprio gruppo preferito con troppe persone — che “quello rosso” non sapevano nemmeno cosa fosse, eccetto per Get me away. A me è successo. I dischi successivi — Dear Catastrophe Waitress, The Life Pursuit — li ho ascoltati, anche più volte, ma ho continuato a dispiacermi per il cambiamento radicale di Stuart Murdoch, il frontman, e soci, coincidente con un sempre maggiore presenzialismo: le loro facce hanno iniziato ad apparire nei libretti dei cd, poi nelle riviste, nei videoclip, in programmi televisivi di dubbia qualità. Le canzoni erano ancora belle, ma non avevano più nulla di ciò che le rendeva uniche.
Poi, mentre ascoltavo l’ultimo disco e pensavo più o meno le stesse cose di cui sopra (Enzo Polaroid definisce i pezzi “leccatini e pettinatini”, non a torto), mi sono improvvisamente accorto che la scelta di Murdoch è stata l’unica possibile. Se Woody Allen lamentava l’inferiorità a prescindere della commedia sul dramma, anche qui c’è poco da fare: le canzoni dei primi Belle and Sebastian non potevano avere altra ambizione che far innamorare noi adolescenti — cosa che, appunto, sono riusciti a fare. Oltre quello non ci sarebbe stato poi molto, e pare che Murdoch abbia iniziato a sentire il bisogno di espandersi, sia nel numero di progetti, sia, soprattutto, nella scrittura dei pezzi. Da una tromba e due violini messi al punto giusto, i Belle and Sebastian hanno iniziato a creare pezzi che, sempre di più, ambiscono a essere delle vere e proprie composizioni (se aggiungessi “orchestrali” sarebbe eccessivo, ma anche no). Burt Bacharach è il riferimento che salta fuori più spesso, e c’è un motivo: Murdoch e gli altri (non è ancora chiaro quale sia il peso del gruppo sulle canzoni) stanno prendendo le misure per puntare a diventare qualcosa che rimanga più a lungo di un sussurro e una testa china, un po’ inclinata.
Per chiudere, la mia recensione di Write about love è: quasi parecchio bello.
http://www.youtube.com/watch?v=snailu0RnLg
Ci sono 4 commenti
Buona robetta. Però dedicati al nuovo di Eno. (no, serio). (tra l'altro pack di lusso davvero mozzafiato).
scritto da Gabriele il 2 novembre 2010 alle 21:11
Dalla prossima settimana metteremo un disclaimer a inizio trasmissione per vietare le trascrizioni delle scemenze che diciamo in onda :) ciao, e.
scritto da enzo il 5 novembre 2010 alle 13:12
Posso capire. Mi ero fatto il problema, ma in realtà quei due diminutivi — nonostante non siano scelte lessicali ricercatissime — ritraggono perfettamente il disco. Cioè: a voce avrei detto la stessa cosa pur'io.
scritto da Pier Mauro il 5 novembre 2010 alle 13:18
[...] come i lynchiani (vedi sopra) SALEM, gli italiani Young Wrists, i due Tennis. Poi ci è piaciuto rivalutare i Belle and Sebastian, e intervistare l’uomo delle playlist del festival di Internazionale. E se vi piace la radio, [...]
pingback dal sito Buon anno, con il meglio di Personal Report del 2010 | Personal Report il 31 dicembre 2010 alle 03:04